Messaggio del nuovo Superiore Generale
Miei cari confratelli Stimmatini,
giunga a tutti voi il mio saluto fraterno e affettuoso. Voi sapete che il XXXVIII Capitolo Generale ha pensato di affidarmi il mandato di padre generale per il prossimo sessennio. Sono molto grato al Capitolo per avermi messo accanto dei Consiglieri di cui non mi sento degno. P. Claudio Montolli è Vicario, p. Elizio Pereira da Anunciação Filho e p. Ambroise Kobenan Koffi rispettivamente secondo e terzo consigliere. Credo che la nostra famiglia religiosa debba essere riconoscente a P. Rubens Sodré Miranda e suo Consiglio per come ci ha accompagnato in questi anni. Anni non facili se si pensa a quanti impedimenti sono stati causati dalla pandemia; eppure, malgrado ciò, noi tutti possiamo attestare che nelle situazioni più difficili e talvolta dolorose, non ci siamo mai sentiti soli e abbandonati. La sua è stata una guida paterna e sicura. Prego il Signore che mi aiuti a non disperdere questa bella eredità di governo benché sia consapevole di non possedere le stesse competenze, soprattutto in materia di Diritto Canonico e delle nostre Costituzioni.
I padri capitolari sono stati convocati dalla sfida di “Rinnovarci insieme per continuare ad essere Stimmatini nella Chiesa e nel Mondo.” Solo alla semplice lettura del titolo, avvertiamo come le parole suggeriscano l’idea di movimento, di cammino. Il Documento Programmatico che ci viene donato dal Capitolo rappresenta quindi l’avvio iniziale di un percorso destinato a raccogliere, nella Chiesa e nel Mondo, molte più sfide di quanto non si riesca a prevedere oggi. Insomma, apre una strada da percorrere, appunto, insieme. E poi, come qualcuno ha detto, “Camminando si apre il Cammino”. Questo significa che non possiamo rimanere chiusi, rivolti all’indietro, magari per paura di commettere errori. I nostri limiti e le nostre ferite, così come le nostre infedeltà ci fanno paura, ma non dimentichiamo che la strada da seguire è quella del Maestro. Ne saremo capaci?
Stamane, abbiamo iniziato la giornata destinata all’elezione del Superiore generale e suo Consiglio, con la celebrazione della messa dello Spirito Santo. Il testo evangelico era Gv. 20, 19-23.
C’è un gruppo di persone che abitate dalla paura. Giovanni rende questo clima con alcune espressioni: caduta la notte e le porte chiuse (sprangate). Con quanti timori, reticenze, perplessità, ci capita di fare i conti! Tutto ciò è qualcosa che paralizza, che fa trattenere il respiro. Ebbene, questa non è la vita in abbondanza che Gesù ha promesso!
Il testo dice: “Venne Gesù e stette in mezzo”. Come dire: Entrò dentro le chiusure, prese contatto, presidiò sulle paure.
Dal di dentro delle nostre perplessità, fatiche, incertezze, incompiutezze ed immaturità il Signore ci libera. Dal di dentro fa vedere l’inconsistenza delle nostre difese. Perchè entra con quell'amore inesauribile e traboccante di cui l'evangelista parlò nel contesto della lavanda dei piedi: “li amò sino alla fine”. Ora è dentro gli smarrimenti del cuore con i segni di quell'amore: i segni delle mani, dei piedi e del costato stanno lì ad indicare un amore certo che scioglie ogni difesa, ogni resistenza come neve al sole.
Perciò il saluto di Gesù si realizza nel dono della pace: shalom a voi. Essa non è solamente assenza di conflitto ma un restare nella vita in modo positivo, dignitoso, pieno, in piedi, senza timori. La pace – shalom è la possibilità di realizzare promesse di bene, di quel bene che attende di essere realizzato.
Il dono diventa poi un incarico, un invio per la missione: Vi do lo shalom, rimettete i peccati, tanto a dire sciogliete i nodi, entrate in contatto con le ferite di questa umanità, fatevene carico, siate uomini della cura.
Tutti coloro che sono stati raggiunti dalla fiducia, dall’accoglienza e dall’amorevolezza del Signore non possono esimersi dal far entrare le situazioni in un orizzonte di giustizia, di verità, di benevolenza, di benedizione.
Per Gesù, questa nuova condizione è come una nuova creazione. Nel racconto di Genesi sulle origini del mondo vi è detto che il Signore Dio soffiò un alito di vita nelle narici dell’Adam, il terrestre, il quale divenne un essere vivente.
Gesù alita lo Spirito Santo, reimmette nel corpo della Congregazione il soffio del carisma Bertoniano antico e sempre nuovo. Alla Chiesa che, per paura ha perso il respiro e si è trincerata dietro le porte sprangate delle false sicurezze, delle presunte certezze dottrinali, ora Gesù le dà respiro. Non abbiamo nulla da temer: possiamo correre il rischio della fraternità con l’audace leggerezza del vangelo.
Manco farlo apposta, nell’udienza di mercoledì 15 febbraio, papa Francesco, tratteggiando le caratteristiche della missione, sembrava che si rivolgesse proprio a noi Missionari Apostolici. Dalle sue parole abbiamo rievocato la gioia e la mitezza di S. Gaspare nell’avvicinarci alle persone per stare loro vicino, con tenerezza e misericordia.
Credetemi, cari confratelli, la nostra identità non è qualcosa di complicato come se andasse desunta da un insieme pesante di regole e consuetudini ormai ammuffite; non è un’appartenenza definita da un sistema rigido di controllo. Noi siamo semplicemente amici del Signore, amati, cercati, guariti, risuscitati da lui. Ciò che realmente siamo nel profondo, come consacrati e missionari, si chiarificherà nel momento stesso in cui apriamo alla condivisione i doni che abbiamo ricevuto. Per quanto difficili siano le sfide che ci attendono, siamo certi che il frutto ci sarà, ora il trenta, ora il sessanta, ora il cento per uno.
Nell’amore di Gesù, nostro unico Signore, vi voglio bene.
p. Silvano Nicoletto
Roma, 17 febbraio 2023
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